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Athena in Athenaeum

Athena in Athenaeum è una mostra personale di Pepe, tenutasi nel 2008 presso il Polo Universitario di Novoli, a Firenze.

L’allora Rettore dell’Università degli Studi di Firenze Augusto Marinelli sottolineava come, fino a quel momento, l’Ateneo fiorentino avesse posto scarsa attenzione ad acquisizioni o iniziative volte a costruire un proprio patrimonio artistico: “Ecco che, allora, questo evento vuol essere un primo segno di attenzione per un aspetto troppo a lungo trascurato” (Marinelli).

Secondo  l’opinione del filosofo italiano Sergio Givone:

“Pepe […] accoglie dalla tradizione i racconti destinati a trasformarsi in figure, in immagini. Ma nel momento in cui le accoglie, le ricrea. Singolare, creativa ricezione, che trasforma le favole antiche in icone del nostro più oscuro desiderio e del nostro dolore.

Quel desiderio che è eros, forza onnipervasiva che è in tutto e in tutti. Quel dolore che è memoria di una patria celeste a cui siamo stati strappati. Una ferita immedicabile è nel cuore della vita – ogni vita – e il mito ne è testimone”.

(Givone)

Può risultare curioso immaginare gli studenti del polo universitario di Novoli tra le sculture mitologiche di Pepe, ma è pur vero che queste figure così apparentemente lontane rispetto ai nostri tempi animano il parlato di molti di noi in citazioni e metafore.

Francesco Gurrieri, protagonista del dibattito artistico internazionale, sottolineava il contrasto tra inattualità ed eternità del mito con le seguenti parole: “Il mito […] è ormai consegnato ai dizionari; non ha più posto, ed è qualcosa di paradossalmente estraneo, qualcosa che non si conosce e dunque, in cui non ci si riconosce” (Gurrieri).

Ma Gurrieri sostiene anche che il mito torni ad affacciarsi, curioso e persuasivo, nella metafora, per “aiutarci a dire l’indicibile”, a ricaricare la parola, a sostanziarla, ad allontanarla dall’aridità a cui è stata condannata.

Nelle storie più antiche si ritrovano alcuni nostri pregi e i nostri più spaventosi difetti. Per dirla con Givone:

“[m]ito è anche la fonte alla quale continuamente attingiamo. Non c’è specchio che al pari di questo, come si dice che nell’antichità accadesse nei luoghi in cui venivano celebrati i misteri, costringa ciascuno a incontrare il proprio sé più remoto e più intimo e a fare i conti con il proprio sosia più inquietante”.

(Givone)

Ad ogni modo, nell’introduzione ad Athena in Athenaeum l’incontro col mito è visto come l’occasione per una pausa intellettuale: “un segmento di silenzio, di quiete, di ripercorrimento plurimillenario del nostro esistere, perché possa essere un itinerario ad una mèta e non un naufragio” (Gurrieri).

Attraverso la mitologia quasi dimenticata, Pepe riesce a sollevare il dolore e le tragedie dei nostri giorni, regalando all’Ateneo un’occasione per riflettere sul suo ruolo di rigeneratore critico del sapere.

Come Gurrieri suggerisce, le statue di Pepe dimostrano che l’uomo ha ancora bisogno di monumenti: “come documento parlante, come mònito, connotato dalla intenzionalità artistica e commemorativa” (Gurrieri).

A riprova di questo, la continua riproposizione stilistica della nostra architettura, che testimonia ulteriormente il bisogno di tornare al senso originario della città come “contenitore/moltiplicatore di relazioni sociali integrate, ma in continuità col passato” (Gurrieri).

In accordo con Gurrieri possiamo aggiungere che Onofrio Pepe ci invita a saper cogliere una nuova conciliazione con l’ambiente, migliore di quanto si sia stati capaci di avere fin qua.