onofrio_pepe_i_miti_ritrovati

I miti ritrovati

La mostra I miti ritrovati si è tenuta nell’Area Archeologica di Fiesole, Firenze, nel 2005.

Fu inaugurata dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi e visitata dal Presidente della Repubblica del Portogallo Jorge Sampaio e dal Principe del Galles Carlo.

Nell’introduzione al catalogo, il Sindaco e l’Assessore alla Cultura di Fiesole (Fabio Incastasciato e Paolo Becattini) si dichiaravano particolarmente orgogliosi di portare Pepe nel loro territorio: “per la qualità del suo lavoro, ma anche per una sfida di contatto tra contemporaneità e tradizione antica che ci pare veramente stimolante e interessante” (Becattini, Incatasciato).

Stefano De Rosa, autore di moltissimi saggi dedicati a maestri del Novecento e curatore di altrettante mostre, poneva l’accento sulla capacità di attualizzare il mito ritrovata nelle sculture di Pepe.

Nel catalogo d’introduzione alla mostra descriveva così l’operato dell’artista:

“La sua scultura recupera, respira e rimanda un sapore vero, che si è nutrito di letture, di note, di meditazioni. Come accade quando la cultura è vitale, da essa Onofrio ha ricavato il coraggio dell’inattualità.

Sa essere classico solo seguendo la sua vocazione, senza indulgere a calcoli mercantili, a speculazioni o al piacere di accostarsi a delle mode.

La classicità si permea di una modernità civile, che chiede il silenzio dell’attenzione e reclama la lentezza dell’intelletto finalmente liberato dall’obbligo di connessioni immediate e sciolto dall’abbaglio della virtualità […].

Non ci sono echi museali o retaggi archeologici. Pepe è nato in un luogo, in una terra dove l’antichità viene incontro senza che si debba andare a cercarla: è nel vento, nello spicchio di mare, nei profumi che si fanno sentire con il passaggio delle stagioni.

È materia viva, non reperto filologico, dato su cui costruire una brillante carriera accademica”.

(De Rosa)

In completo accordo è l’opinione dell’esperto Marco Fagioli, per cui:

Onofrio Pepe come scultore ha stabilito ormai, dall’inizio del suo lavoro, un rapporto quasi quotidiano con i temi della Mitologia greca; tuttavia il suo non è un rapporto di tipo letterario ma visivo, ove per visivo si intenda l’apparizione di figure intese come vive e non solo quali immagini della fantasia” (Fagioli).

Nessuna citazione fine a se stessa nelle opere di Pepe, ma una sinergia con la profonda essenza della sua terra di origine:

“Pepe ha saputo trattenere il senso profondo della classicità, ovvero il legame di ogni parte del sapere con il proprio tempo e la capacità di trascendere la dimensione temporale per attingerne una nella quale ogni tensione si distilla e si raffredda, ricomponendosi in un’unità, in una sintesi nella quale potranno filtrare le letture dei posteri.

Non ci sono echi museali né retaggi archeologici. Pepe è nato in un luogo, in una terra dove l’antichità viene incontro senza che si debba andare a cercarla: è nel vento, nello specchio di mare, nei profumi che si fanno sentire con il passaggio delle stagioni.

È materia viva, non reperto filologico, dato su cui costruire una brillante carriera accademica”.

(De Rosa)

Pepe ha il mito nel sangue, come se l’avesse assunto direttamente dall’aria di cui si è nutrito tra Paestum e Pompei:

“Pepe mi è apparso, quando ho iniziato a seguire la sua arte, come il riflesso di dibattiti antichi eppure così presenti; il prolungamento, in giorni che paiono poco predisposti, di un’arte che vive di palpiti segreti, di armonie, di sogni, di miti.

Un’arte che si attesta sulle soglie di una porta, di un confine che può essere varcato con discrezione, a condizione che si sappia ritrovare il piacere di una sacralità che non stoni con le concezioni laiche e aiuti a ritrovare, nel presente, la persistenza di un passato che chiese e ideologie non sono riuscite a debellare”.

(De Rosa)